COSTOLETTA ALLA MILANESE
Incidere il filetto e la fascia esterna delle costolette, perché non si arriccino durante la cottura, e appiattirle con il batticarne. Sbattere le uova in un piatto fondo e immergervi le costolette.
Incidere il filetto e la fascia esterna delle costolette, perché non si arriccino durante la cottura, e appiattirle con il batticarne. Sbattere le uova in un piatto fondo e immergervi le costolette.
Far caramellare leggermente lo zucchero, aggiungere l’aceto portandolo a bollore, unire subito il brodo e cuocere adagio finché lo zucchero sia sciolto. Aggiungere il burro, l’uvetta e, dopo cinque minuti, i pinoli.
Spegnere il fuoco prima di raggiungere il bollore.
La salsa si usa fredda, dopo che si sia leggermente addensata. Rientra nella tradizione della vecchia cucina milanese. Una variante prevede l’aggiunta di poca scorza di limone, farina bianca e di un amaretto tritato.
Mescolare le farine e impastarle, lavorandole per non meno di un quarto d’ora, finché l’impasto risulti al tatto come velluto. Tirare la sfoglia a spessore appena inferiore a mezzo centimetro e tagliarla in modo da ottenere tagliatelle lunghe circa sette centimetri e larghe poco più di mezzo (“pizzoccheri”). In una pentola con acqua abbondante a bollore, versare le verze rotte con le mani a grossi pezzi (oppure le coste tagliate a lunghezza di circa cinque centimetri). Dopo cinque minuti salare l’acqua e versare i pizzoccheri.
Impastare la farina con le uova, il burro e un pizzico di sale; tirare una sfoglia sottilissima, tagliarla con la rotella in quadrati o rombi, con tagli all’interno. In alternativa tagliare la sfoglia a strisce e annodarle. Friggere i ritagli in olio abbondante e caldissimo, poi spolverarli con zucchero a velo.
Le forme di questo tipico dolce di Carnevale hanno originato i nomi correnti di frappe o cenci. “Ciàcier di mónigh” si dice perché un tempo erano preparate usualmente nei conventi e offerte ai benefattori.
In una pentola alta scaldare un poco d’olio e colorirvi appena le costine, quindi versare i ceci, aggiungere il porro tritato, la salvia e tanta acqua da riempire quasi la pentola; insaporire con sale e poco dado sbriciolato e cuocere per circa tre ore. A cottura ultimata, eliminare il ramo di salvia, poi recuperare le costine, staccare la carne dall’osso e tenerla al caldo immersa in poco brodo.
Imbiondire dolcemente la cipolla con il burro e insaporire per due minuti. Irrorare con il vino e quando è evaporato aggiungere un mestolo di brodo bollente e le pere. Continuare ad aggiungere il brodo a poco a poco, finché il riso sia cotto (diciotto o venti minuti circa). Poco prima di ultimare la cottura aggiungere il pannerone a cubetti e l’acquavite e mantecare il composto fino alla fusione del formaggio, mescolando delicatamente prima di servire.
Rosolare la cipolla tritata in
80 g di burro, salare e cuocere dolcemente; aggiungere gli strigoli tritati, insaporire, mettere il riso e dopo pochi minuti bagnare con il brodo. A cottura ultimata aggiungere il restante burro e il formaggio.
Gli strigoli, virzulì a Brescia, bubbolini, carletti altrove, sono i getti primaverili della silene o erba del cucco, erba spontanea e idonea a molti usi in cucina, ad esempio in minestra (preparato il soffritto, si allunga con il brodo e si cuoce il riso, legando con tuorli d’uovo e formaggio).
Togliere le cosce alle rane, pestare il resto nel mortaio e lessarlo in poca acqua salata con le foglie di alloro; passare il sughetto in un telo, tenerlo in caldo, unendolo a brodo di pesce.
Soffriggere in un tegame il trito di verdure con abbondante olio, bagnare col vino, sfumare, aggiungere un mestolo di brodo, i piselli sgusciati e, dopo cinque minuti, le cosce di rana, sempre aggiungendo il brodo.
Rosolare in un tegame carote, sedani e cipolle con il lardo (o la pancetta). Togliere il lardo e rosolare ancora le verdure nel fondo dei loro umori, dorandole con il concentrato di pomodoro. Unire le costine e poi le cotenne a pezzetti, dopo averle mondate e scottate in acqua bollente.
Cuocere a fuoco lento, aggiungendo i “verzini” e, a pezzi, le foglie esterne delle verze, mondate dal gambo fibroso, e quindi il cuore sfogliato delle verze. La cottura richiede qualche ora se il maiale è di allevamento intensivo, più di quattro ore se nostrano. Regolare infine di sale e pepe.
Lavare le foglie della verza, scartando quelle esterne più dure, e scottarle per qualche minuto in acqua bollente; stendere le foglie su un canovaccio, raddoppiate se piccole e sottili.
Preparare il ripieno: tritare carne e salame e, in una terrina, impastare con formaggio, pangrattato e prezzemolo. Farcire con il ripieno le foglie di verza, formare un involto e fermarlo con uno stecchino.