Libertà di stampa, statistiche e crisi della ristorazione
Frastornati da notizie contraddittorie, occorre saper distinguere ed essere prudenti.
Abbiamo tutti la sensazione di vivere in un Paese democratico dove la libertà di stampa è assoluta, a motivo di una grande varietà di testate giornalistiche e televisive, ciascuna con orientamenti politici più o meno marcati, ma comunque differenti. Purtroppo, però, siamo di fronte a una realtà diversa. Secondo la prestigiosa associazione internazionale “Reporters sans Frontières”, l’Italia si colloca al 41° posto nella classifica mondiale sulla libertà di stampa. Il Ghana, il Sud Africa, il Burkina Faso, il Botswana sono solo alcuni esempi di Paesi dove c’è una maggior libertà di stampa rispetto all’Italia. Non che il governo propali “veline” mattutine alle direzioni dei giornali come ai tempi del fascista Ministero della Cultura Popolare (Minculpop) o i notiziari televisivi siano una sorta di cinegiornali dell’Istituto LUCE, ma le concentrazioni delle testate in pochi gruppi editoriali, i finanziamenti pubblici a quotidiani e periodici, le inserzioni pubblicitarie e gli interessi economici degli editori condizionano gli orientamenti. I singoli giornalisti sono poi talvolta influenzati da amicizie e consuetudini e da minacce della malavita.
Fatto sta che molto spesso il coro, su certi argomenti, sia unanime e le interviste ai potenti di turno vengano fatte “in ginocchio”. A ciò si aggiungano dossier secretati dai governi e il largo e spropositato uso di statistiche che secondo molti esperti sono il modo più subdolo ed efficace per mentire, distorcere o nascondere la realtà. Usava dire Mark Twain: “Ci sono tre tipi di bugie: le bugie, le sfacciate bugie e le statistiche” e in modo romanesco confermava il nostro Trilussa che affermava che “Se io mangio due polli e tu nessuno, abbiamo mangiato un pollo a testa”. Quanto sopra è la normalità quotidiana, ma da mesi il quadro è aggravato dalle notizie riguardanti l’epidemia da coronavirus. Un tormento quotidiano di notizie, vuoi per esacerbare la situazione, vuoi per banalizzarla.
I titoloni sono sempre zeppi di “ma”. “Calano i decessi, ma aumentano i contagi”; “Oggi sono calati i contagi, ma ci sono più ricoveri”; “Nessun ricovero e meno contagi, ma in India si aggrava la situazione”.
Sia chiaro che è assolutamente utopistico avere zero contagi in tutto il mondo; per avere tale dato ci vorranno anni e non perché il virus non ci sarà più, ma perché ci saranno altri problemi, i “media” avranno deciso di smetterla con il tormentone, visto che la notizia non farà più vendere. Tutto questo per dire che si raccomanda la massima prudenza e circospezione nel leggere i titoli cubitali che sparano contagi a raffica. E si riaffaccia persino la “fascia fragile”, oggi trasformata in “lavoratori fragili”, la cui età ora inizia addirittura a 55 anni. Si tratta di lavoratori che rischiano di essere infettati dai giovani mascalzoni untori. Abbiamo già avuto modo di dire che il problema Covid esiste e bisogna essere molto prudenti, ma anche che i numeri e le percentuali possono mentire grandemente se non sono spiegati nei loro aspetti qualitativi. Abbiamo anche detto, in un nostro precedente Focus, che vi era un “assordante silenzio” sulla drammatica situazione della ristorazione. Orbene, quel silenzio è stato rotto da una esponente del governo che ha suggerito ai ristoratori in affanno di cambiar mestiere. Accortisi della clamorosa gaffe, sono stati proposti sconti a chi paga con carta di credito da accreditare sul conto corrente, proposta ovviamente caduta nel nulla. Altri geni hanno suggerito di non rilasciare più licenze di ristoranti. Va bene che la categoria dei ristoratori è piuttosto incline alle lamentazioni, ma la situazione è davvero critica.
Comunque lasciamo stare bonus e sussidi che finiscono spesso nelle mani sbagliate e hanno il fiato corto. I buoni ristoranti, se aiutati da sgravi burocratici, fiscalità non opprimente e cessazione dello smart working (che svuota le città e annulla la socialità) se la caveranno da soli, secondo le leggi di mercato, non secondo leggi ipocrite che fanno apparire il temibile coronavirus come una sorta di novello Conte Dracula che si sveglia al tramonto alle 18 per mordere e infettare e rientra nel suo loculo alle 6, alle prime luci dell’alba.
Paolo Petroni
Presidente dell’Accademia