Lo spreco alimentare: un problema ingigantito
Dopo le feste di fine anno, si ripropone la questione delle stime farlocche.
Trascorso il lungo periodo delle feste, giornali, riviste e televisione sono passati dai soliti consigli sui pranzi della vigilia, di Natale e sui cenoni di fine d’anno ai risaputi e contraddittori suggerimenti sulle diete disintossicanti. Fin qui tutto secondo tradizione. Questo inizio del nuovo ventennio, tuttavia, ci sta portando originali lamentazioni relative ai soldi sprecati. Sprecati in regali inutili che vengono sovente riciclati perché orrendi, ingombranti o di nessuna utilità, tanto da non sapere neppure dove metterli. Quello che stupisce è la rapidità, quasi in tempo reale, con la quale sono fornite le stime. Come faranno! Non è ancora quasi passato il Natale che già i nostri esperti, forse usando la desueta sfera di cristallo, ci dicono che un italiano su tre, pari a 23 milioni di tapini, è pronto al riciclo dei regali ricevuti. Regali inutili per un valore di 3,3 miliardi di euro. Con questi impressionanti comunicati si sottintende che, con la crisi economica in corso in Italia, siamo dei pazzi irresponsabili che buttano così tanti soldi.
Tra i beni riciclati, sembra che i generi alimentari rappresentino il 45% e che il 20% del cibo acquistato finisce in pattumiera. Da qui si sparano altre cifre drammatiche del tipo “ogni famiglia butta nel bidone 85 chili di cibo in un anno, pari a 450 euro” e ancora “lo spreco alimentare ammonta a 15 miliardi di euro l’anno” e così via. Con valori e stime diverse a seconda delle fonti. E proprio qui sta il problema: che un certo spreco ci sia è evidente, ma con quali metodi riescano con tale rapidità a sapere cosa succede nelle case degli italiani è un vero mistero. L’importante è il “titolone” che faccia impressione e ci faccia sentire colpevoli per lo spreco di ogni bendidio. Tuttavia, siamo sicuri che noi consumatori siamo i soli e veri colpevoli? Intanto qualche miliardo di euro viene gettato via alla fonte: nei campi, nei magazzini dei grossisti e dai negozianti, cioè prima che il cibo arrivi nelle nostre case. Poi ci sono le industrie che propongono grandi sconti sulle confezioni extra large e sul 3 al prezzo di 2. Sanno benissimo che oggi ci sono solo 2,3 componenti per famiglia e che ormai un terzo dei nuclei familiari è formato da una sola persona, ma invece di proporre confezioni adatte a questo target, si ostinano a considerare gli acquirenti come membri di una famiglia numerosa come un secolo fa.
Poi c’è il grosso problema della data di scadenza. Molti, il giorno dopo della data stampata sulla confezione, buttano via il prodotto teoricamente scaduto, quando basterebbe guardarlo e assaggiarlo per capire che è ancora ottimo, vedi uova, latte, formaggi, salumi, pasta e così via. La realtà è che questa scadenza, nata per tutelare i consumatori, è finita per essere un vero toccasana per le industrie. Se tutti fossimo razionali, se tutti comprassimo solo regali utili, o solo i cibi che servono e non si sprecasse nulla, i consumi si ridurrebbero del corrispondente 20-30%. La nostra economia reggerebbe tale urto?
Il problema degli avanzi c’è sempre stato e già l’Artusi ne era consapevole. Nel 1918, fu pubblicato postumo un libro del poeta Olindo Guerrini dal titolo L’arte di utilizzare gli avanzi della mensa e risparmiare con gusto. Dopo di lui decine di volumi, sul medesimo tema, sono stati pubblicati anche in anni recenti. L’Accademia, nel 2016, ha editato il volume La Cucina del riuso nella vecchia collana degli Itinerari di Cultura Gastronomica. Segni, questi, che testimoniano la sensibilità degli avveduti consumatori che non sopportano di vedere sprecato il buon cibo.
Paolo Petroni
Presidente dell'Accademia