Da un’idea elitaria alla più grande Accademia del mondo
Il contributo degli Accademici è essenziale allo sviluppo della nostra missione.
Quando Orio Vergani, nel 1953, pensò di dar vita all’Accademia Italiana della Cucina, aveva in mente, come modello di riferimento, il Club des Cent (il Club dei Cento), un’esclusiva associazione francese fondata nel 1912 da Louis Forest. I suoi membri si riunivano a pranzo ogni giovedì, di solito da Maxim’s, e il menu era organizzato da un “Brigadier” (il nostro Simposiarca) sempre diverso. Alla fine, i piatti venivano valutati. Avevano anche una loro guida ai ristoranti distribuita, però, solo ai suoi membri. Essere ammessi non era facile. Si doveva essere presentati da due soci (come in Accademia) ma poi si veniva accettati dopo il responso di una severa Commissione esaminatrice che valutava gli aspetti umani, morali e di conoscenza delle materie gastronomiche ed enologiche. Vergani quindi, all’inizio, pensava a un Club ristretto ed elitario. L’idea, tuttavia, era troppo valida e stimolante per restare circoscritta a un gruppo di amici milanesi, così, in breve tempo, la sua creatura “gli prese la mano” e crebbe in numero dando vita a molte Delegazioni regionali. Vergani ne fu molto contento, aveva creato un’associazione unica al mondo.
Inizialmente, la vita si svolse essenzialmente attraverso conviviali in vari ristoranti, mentre i rari convegni erano di tipo nazionale. Successivamente, iniziò una seconda fase, orientata alla cultura della cucina, che si sviluppò attraverso numerosi convegni a livello locale e le pubblicazioni di libri e guide ai ristoranti; anche la nostra rivista “Civiltà della Tavola” fu completamente ristrutturata e ammodernata. Nel 2003, giunse il riconoscimento, da parte del Ministero dei Beni Culturali, quale Istituzione Culturale della Repubblica Italiana.
In questa terza fase siamo adesso impegnati in una nuova sfida, che ci vede uscire dall’autoreferenzialità. I nostri sforzi, i nostri lavori debbono andare oltre lo stretto ambito accademico per giungere all’esterno, al grande pubblico. Il sito Internet, le App sugli smartphone, la guida alle buone tavole, il ricettario nazionale, la nuovissima rivista, sono tutti strumenti che ci portano ovunque nel mondo. Anche i molti convegni e gli studi che vengono condotti a livello locale, spesso con il contributo dei Centri Studi Territoriali, debbono trovare una loro funzione nei confronti delle problematiche di oggi. La storia e i ricordi sono elementi imprescindibili, ma occorre anche pensare al nostro patrimonio agricolo, ai nostri formaggi, alla pesca di mare e di lago, ai luoghi del cibo; occorre indicare le nostre eccellenze, e incidere sulle realtà gastronomiche del territorio. I nostri premi (uno su tutti il premio “Dino Villani”) sono poco usati e poco conosciuti.
Gli Accademici non debbono essere solo soci che pagano una quota; quando sono entrati in Accademia non sono stati esaminati da una Commissione, come nel Club des Cent, ma debbono sentirsi come se lo fossero stati. Gli Accademici debbono essere tutti portatori di una missione, non meri commensali (e talvolta anche poco assidui) alle riunioni conviviali. Il loro contributo è essenziale allo sviluppo della missione accademica.
Paolo Petroni
Presidente dell'Accademia